L'ultimo grande scam è monetizzare sui tuoi sogni
E farti credere che il talento si compri a rate
Quella di oggi è la mia discesa agli inferi. Mi riporta dritta a quell’Open Day allo IED, quando per poco a mia madre non si ribaltarono gli occhi all’indietro alla richiesta di 17.000 euro per un master che non offriva nemmeno un tirocinio. Ma il problema non era solo il prezzo.
C’è una diatriba vecchia quanto il bene contro il male: talento contro perseveranza. Messi vs Ronaldo, per spiegarla agli amici uomini che ci leggono. Il primo è il fuoco d’artificio che esplode; il secondo è il lavoro quotidiano che costruisce una carriera solida e longeva.
Sono due percorsi diversi che è difficile mettere in relazione, ma la più grande illusione che il mercato della formazione ha inventato è che entrambi possano essere sostituiti con un bel corso da 4000€, pagamento anticipato (no rate) in qualche scuola privata. Una scorciatoia costosa.
Il mondo creativo sembra avere un solo ingresso sicuro: quello a pagamento. Da una parte ci sono le scuole d’élite, che selezionano chi può permettersi di pagare il biglietto. Dall’altra c’è l’industria delle illusioni, che vende sogni sotto forma di corsi e workshop dall’utilità discutibile.
Il business dei sogni
Il talento è sempre stato una merce rara, ma oggi è anche una merce in vendita, allo stesso prezzo al grammo del caviale beluga. Non c’è giorno in cui non mi imbatta in un nuovo corso, master, workshop che promette di trasformarti in qualcuno. Interi settori hanno costruito un impero sulla speranza di gente di poter diventare speciale. Il certificato giusto e improvvisamente sai scrivere la Divina Commedia – pur non avendo mai scritto un biglietto d’auguri senza copiare Gio Evan (che, anche lì, poi).
Quanti mantengono la promessa?
Non fraintendiamoci, l’istruzione è fondamentale, ma quando la formazione diventa un business che gioca sulle insicurezze e le ambizioni delle persone, qualcosa inizia a puzzare.
È quello che definisco “il capitalismo della speranza”, ovvero il mercato delle illusioni che sfrutta i sogni di chi vuole emergere. È lo stesso principio che alimenta le piramidi del self-help, il coaching motivazionale e le case editrici a pagamento. Insomma tutte le ultime spiagge.
Concetti simili sono stati esplorati nella teoria dell’ hope labor, che evidenzia come molte industrie creative sfruttino la disponibilità delle persone a lavorare gratis o a investire risorse economiche nell'illusione di un futuro successo.
L’industria della speranza
Il problema di base è che ci piace pensarci speciali. Uno su mille ce la fa, e quella storia mitologica del successo ci spinge a tentare. Dopotutto, la speranza è l’ultima a morire. E loro lo sanno.
I corsi spuntano come funghi. Alcuni si annidano nella quarta di copertina del libro che ce l’ha fatta: vedi Santa di Turone, che nella sua bio scrive che “nel 2021 ha frequentato il corso Trovare la sedia – scrivere un romanzo in un anno a cura di Paolo Nori presso la Scuola Karenin di Bologna”. Perché se ce la fai, diventi il cartellone pubblicitario per adescare altri sognatori.
E allora dividiamoli, questi corsi:
Gli scam: quelli che puntano sui sogni spezzati di chi vuole reinventarsi. Dalle centinaia a qualche migliaio di euro per lezioni che non offrono nulla di più di ciò che si può trovare in un buon manuale o con un po’ di pratica autodidatta. Immaginate di presentarvi alla Feltrinelli chiedendo lavoro come editor, mostrando l’attestato rilasciato dai loro stessi corsi brevi (790 €). Credo che tutti possiamo intuire la risposta.
Le scuole per l’upper class, quelle che, con rette tra i 10.000 e i 30.000 euro, non selezionano i più talentosi, ma chi può pagare (se poi hanno talento ben venga). Non voglio nemmeno iniziare il discorso sull’accessibilità dell’istruzione, ma se non prevedi borse di studio (o ne metti poche), stai facendo una scrematura economica all’ingresso
Non dico che questi corsi non andrebbero fatti, ma bisognerebbe capire bene cosa si sta comprando per non rimanere fregati.
Il privilegio di chi può permetterselo
Capisco che queste scuole debbano campare e che abbiano sfornato talenti interessanti, come Beatrice Salvioni. Ma non posso basare il giudizio sulla piccola percentuale che ha dato un senso a quelle rette.
E tutti gli altri? Quelli che chiedono prestiti in banca per poi trovarsi con un pugno di mosche? Quelli che hanno zero talento ma lavorano perché si sono comprati un pacchetto di contatti?
Vi racconto una storia: la ex di un mio amico, laureata in giurisprudenza, si è fatta regalare dalla (molto) facoltosa nonna la biennale alla Holden. Casualmente, al suo termine è finita in redazione alla Feltrinelli (e guarda caso: “L'amicizia tra Feltrinelli e Scuola Holden si consolida con la crescita al 100% della partecipazione del Gruppo in Scuola Holden”, Il Libraio). Coincidenze?
Non sono qua a giudicare se lei se lo sia meritato o meno. Il punto è: se bastano 20.000 euro per entrare in una casa editrice, quanti di quelli che hanno studiato lettere, editoria o filosofia riusciranno mai a farsi spazio?
E allora, le persone normali fanno il giro largo. Sperano che anni di sacrifici e porte in faccia si traducano in un contratto vero. Ma spesso, ahimè, non succede. Io ci ho messo cinque anni di rifiuti settimanali per avere un sì, e nemmeno troppo convinto.
Preciso che il problema è il sistema, non le persone che frequentano i corsi.
Quale futuro in Italia (ma anche fuori)
Oggi ho molte domande e poche risposte.
La cultura, già di per sé un privilegio – un investimento che raramente torna –, è in mano a scuole private e a un meccanismo classista.
In Italia e in Ticino non esistono corsi universitari di scrittura creativa, a differenza degli Stati Uniti, dove programmi come l'Iowa Writers' Workshop, Columbia o NYU sono istituzioni riconosciute, talvolta finanziate da borse di studio.
Anche altri settori creativi, come arte, cinema e moda, sono colonizzati dall’upper class. Non è un caso che l’Italia abbia uno dei peggiori tassi di mobilità sociale in Europa.
Ma se chiederete a chi ha frequentato questi percorsi facilitati come hanno fatto ad arrivare lì, vi risponderanno, come qualsiasi nepo baby a Hollywood, di essersi sudati il posto dove poggiano il culo.
Parlo di persone che, senza aver sganciato la grana, non sarebbero andate da nessuna parte. Non di quelle che hanno avuto la doppia fortuna di nascere con soldi e talento.
Una storia che non racconterò mai più
Questa è la cima dell’iceberg. Sospetto che se dovessi fare un controllo incrociato di premi vinti da ex alunni e professori, chi è nelle giurie e chi pubblica con chi verrebbe fuori un garbuglio di connessioni che manco l’albero genealogico degli Asburgo.
Concludo con una storiella di cui mi vergogno: ho fatto un corso alla Holden quasi dieci anni fa.
Era un corsetto da quattro soldi, ma ne ero consapevole e non si spacciava per nulla di diverso. Dico solo che al quarto incontro metà della classe ha chiesto il rimborso (mai ottenuto). Anni dopo ho inserito quel corso nel CV e un tipo in un colloquio mi ha letteralmente deriso per aver dato soldi alla Holden. Giusta punizione.
Se qualcuno pensa che io stia dando la colpa dei miei insuccessi al fatto di non essere ricca, non ci siamo capiti.
Il punto è un altro: il mondo culturale spesso capitalizza sui sogni delle persone senza effettivamente aiutarle. Prendono il malloppo e scappano.
Alla prossima settimana!
Grazie per aver letto, mi trovi anche su Instagram come @bookblaster se vuoi darmi qualche spunto.
Ciao! Ho frequentato la scuola holden nel biennio 2015-2017 nel corso di giornalismo perché scrivere non era proprio cosa. L’ho frequentata chiedendo un prestito alla banca, ripagato nei 10 anni successivi per un totale di 26k (che non avevo allora figuriamoci ora). Ho conosciuto la scuola con una pubblicità in edicola a 12 anni e me ne sono innamorata perché scrivere (e leggere) è sempre stata l’unica cosa che volevo fare nella vita. Sono stati i due anni in cui ho letto (solo autori bianchi nordamericani) meno e in cui non ho scritto. Non tanto perché nemmeno “digital journalism” (che anche lì vabbè) non era il mio, più che altro perché nessuno può insegnarti a scrivere. E io questa cosa la sapevo: sono entrata lì scrivendo in un modo, sono uscita lì scrivendo in un modo. Per me era un investimento per entrare in un mondo che dalla provincia bresciana e dalla marginalizzazione della mia identità non sapevo come raggiungere. La mia indole e il mio carattere mi hanno portato a non essere in grado di sapermi fare i contatti giusti, quindi per i primi 3 anni dopo la scuola ho lavorato nella vita vera e basta. Però so e sapevo di avere un talento e, a tempo debito, con la possibilità di investire (questa volta tempo) ho lavorato a un romanzo, sono maturata editorialmente, mi sono affidata a un’agenzia e ho pubblicato con case editrici importanti. Io sapevo che avrei scritto a prescindere dalla holden, ma volevo un posto dove capire come funzionasse quel mondo - spoiler: 10k all’anno e manco ti insegnano come funziona un’asta editoriale o perché sia importante avere un agente o cosa sono o come si quantificano le royalties o come ci si presenta seriamente a una testata o a una casa editrice.
Ti fai contatti è vero, se riesci a mantenere un distacco adeguato e lucido puoi pure farti degli amici ma la sensazione è quella che se la frequenti devi sempre esserle grata ma ahimè ho già una lista abbastanza piena di persone bianche “che mi hanno accolto in questo paese” a cui devo gratitudine ingiustificata.
Credo di aver imparato delle cose diverse da quelle che millantano loro sempre con il loro lessico discutibile (e aiutami a dire discutibile). Per esempio a proteggermi, a preservare il mio stile, a dare valore alla mia identità anche in un posto che si vanta di raccontare storie ma poi non è un grado di leggere il contesto che lo circonda, a ricordarmi che essere economicamente povera non significa esserlo anche umanamente e che posso far combaciare la mia passione anche con i soldi nel momento in cui è un lavoro. Motivo per il quale ci sono tornata a lavorarci qualche volta (per ripagarmi il debito nei momenti di difficoltà) nella sezione dedicata alle scuole, ai bambini e alle formazione su certe tematiche. Perché come dici tu posti del genere dovrebbero essere di tutti e tutte. E non sai quanto mi angoscia l’idea che ci sia un ragazzino là fuori con più talento di tutti gli autori candidati allo strega degli ultimi 5 anni ma senza la possibilità economica (e immaginifica di poter accedere fisicamente a certi spazi) di poterla fare una scuola come la holden. Non hai idea. Ma un modo prima o poi bisogna trovarlo e vorrei un sacco contribuire proprio per il fuoco che ha tenuto acceso dentro di me solo l’idea di poterla sognare una scuola così.
Perdona la lungaggine, ma ci tengo.
Grazie per questo tuo pezzo, l’ho super apprezzato.
Grazie per il post. Si veramente il tema per me è cosí importante che fatico pure a parlarne perché, di fatto, è un tema di classe, e parlare di classe è complesso, specie in un ambito - quello letterario - che finge (malissimo) di esservi superiore. I miei genitori sono operai, quando a una ventina d'anni chiesi loro di iscrivermi alla scuola Holden si pisciarono sotto dal ridere. Stava talmente al di là delle nostre possibilità che non era neanche nel campo del "ora ti spiego perché no". Ho faticato moltissimo ad arrivare dove sono (che manco è cosí in alto, eh), pubblico con la maggiore casa editrice italiana, e lo stesso sento questa cosa tutti i giorni, perché il punto restano i contatti anche quando "ce la fai" (quello che da fuori sembra "farcela"). Il problema è che parlare di queste cose crea barricata, come se stessi dicendo che chi ha fatto scuole costose è per forza raccomandato. No, non è cosí. Stai dicendo che chi le ha fatte è partito da una condizione piú favorevole e, soprattutto, che probabilmente ha avuto maggiori possibilità di provare e riprovare a vuoto, finché non ha beccato magari il successone o l'occasione. Senza contare la possibilità di affidarsi per esempio a un ufficio stampa. L'ironico risultato è che, spesso, i libri che parlano di Povertà arrivano proprio da chi quel percorso prioritario l'ha fatto. Vabbé la smetto, che tanto ho messo tanta di questa roba in un romanzo e non ho esaurito l'argomento, non lo farò di certo qui, ahah.